Il Libro di Daniele è un’apocalisse biblica del II secolo a.C. con un’ambientazione del VI secolo a.C. Apparentemente “un resoconto delle attività e delle visioni di Daniele, un nobile ebreo esiliato a Babilonia”, combina una profezia della storia con un’escatologia (una rappresentazione della fine dei tempi) sia di portata cosmica che politica, e il suo messaggio è che come il Dio d’Israele salva Daniele dai suoi nemici, così salverebbe tutto Israele nella sua attuale oppressione.
La Bibbia ebraica include Daniele nei Ketuvim (scritti), mentre i canoni biblici cristiani raggruppano il lavoro con i Profeti Maggiori. Si divide in due parti: una serie di sei racconti di corte nei capitoli 1–6, scritti principalmente in aramaico, e quattro visioni apocalittiche nei capitoli 7–12, scritti principalmente in ebraico; i libri deuterocanonici contengono tre sezioni aggiuntive, la Preghiera di Azaria e il Cantico dei Tre Santi Figli, Susanna e Bel e il Drago.
L’influenza del libro ha risuonato in epoche successive, dalla comunità dei Rotoli del Mar Morto e degli autori dei vangeli canonici e del Libro dell’Apocalisse, a vari movimenti dal II secolo alla Riforma protestante e ai moderni movimenti millenaristi, sui quali continua avere una profonda influenza.