Il Libro di Geremia (in ebraico: ספר יִרְמְיָהוּ) è il secondo degli Ultimi Profeti nella Bibbia ebraica e il secondo nell’Antico Testamento cristiano. La soprascritta al capitolo Geremia 1:1–3 identifica il libro come “le parole di Geremia figlio di Chelkia”. Di tutti i profeti, Geremia emerge più chiaramente come persona, rimuginando al suo scriba Baruc sul suo ruolo di servitore di Dio con poche buone notizie per il suo uditorio.
Il suo libro vuole essere un messaggio agli ebrei in esilio a Babilonia, spiegando il disastro dell’esilio come la risposta di Dio al culto pagano di Israele: il popolo, dice Geremia, è come una moglie infedele e figli ribelli, la loro infedeltà e ribellione rendevano inevitabile il giudizio , sebbene siano prefigurati la restaurazione e un nuovo patto. Autentici oracoli di Geremia si trovano probabilmente nelle sezioni poetiche dei capitoli 1-25, ma il libro nel suo insieme è stato pesantemente modificato e ampliato dai seguaci del profeta (incluso forse il suo compagno, lo scriba Baruch) e generazioni successive di Deuteronomisti.
È stato redatto in due versioni distinte ma correlate, una in ebraico, l’altra nota da una traduzione greca. La datazione dei due (greco ed ebraico) può essere suggerita dal fatto che il greco mostra preoccupazioni tipiche del primo periodo persiano, mentre il masoretico (cioè ebraico) mostra prospettive che, sebbene note nel periodo persiano, non raggiunsero la loro realizzazione fino al II secolo a.C.