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Fascicolo 185. Il giudizio davanti a Pilato |
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Fascicolo 187. La crocifissione |
186:0.1 QUANDO Gesù e i suoi accusatori partirono per andare da Erode, il Maestro si rivolse all’apostolo Giovanni e gli disse: “Giovanni, non puoi fare più nulla per me. Va da mia madre e conducila a vedermi prima che io muoia.” Quando Giovanni sentì la richiesta del suo Maestro, sebbene fosse riluttante a lasciarlo da solo tra i suoi nemici, si avviò in fretta verso Betania, dove tutta la famiglia di Gesù era riunita in attesa a casa di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro che Gesù aveva risuscitato dalla morte.
186:0.2 Parecchie volte durante la mattinata dei messaggeri avevano portato a Marta e Maria notizie sugli sviluppi del processo a Gesù. Ma la famiglia di Gesù era giunta a Betania solo pochi minuti prima che arrivasse Giovanni portando la richiesta di Gesù di vedere sua madre prima di essere messo a morte. Dopo che Giovanni Zebedeo ebbe raccontato loro tutto ciò che era successo dopo l’arresto di Gesù a mezzanotte, Maria sua madre partì subito in compagnia di Giovanni per vedere suo figlio primogenito. Nel momento in cui Maria e Giovanni raggiunsero la città, Gesù, accompagnato dai soldati romani che dovevano crocifiggerlo, era già arrivato al Golgota.
186:0.3 Quando Maria madre di Gesù partì con Giovanni per andare da suo figlio, la sorella Rut rifiutò di restare indietro con il resto della famiglia. Poiché essa era decisa ad accompagnare sua madre, suo fratello Giuda partì con lei. Il resto della famiglia del Maestro rimase a Betania sotto la direzione di Giacomo, e quasi ogni ora i messaggeri di Davide Zebedeo portavano loro notizie concernenti lo svolgimento di quella terribile vicenda, la messa a morte del loro fratello maggiore, Gesù di Nazaret.
186:1.1 Erano circa le otto e mezzo di questo venerdì mattina quando l’udienza di Gesù davanti a Pilato fu terminata e il Maestro fu consegnato ai soldati romani che dovevano crocifiggerlo[1]. Appena i Romani presero possesso di Gesù, il capitano delle guardie ebree ritornò con i suoi uomini al loro quartier generale al tempio. Il sommo sacerdote ed i suoi associati Sinedristi seguirono da vicino le guardie, andando direttamente al loro usuale luogo di riunione nella sala di pietra tagliata del tempio. Qui essi trovarono numerosi altri membri del Sinedrio che aspettavano di sapere che cosa era stato fatto di Gesù. Mentre Caifa si apprestava a fare il suo rapporto al Sinedrio sul giudizio e la condanna di Gesù, Giuda comparve davanti a loro reclamando la sua ricompensa per il ruolo che aveva svolto nell’arresto e nella condanna a morte del suo Maestro.
186:1.2 Tutti questi Ebrei detestavano Giuda; essi avevano per il traditore solo sentimenti di totale disprezzo. Per tutto il giudizio di Gesù davanti a Caifa e durante la sua comparizione davanti a Pilato, Giuda provò rimorso nella sua coscienza per la sua condotta di traditore[2]. Ed egli cominciava ad essere anche un po’ disilluso circa la ricompensa che avrebbe ricevuto come pagamento dei suoi servizi per aver tradito Gesù. Egli non amava la freddezza e il distacco delle autorità ebraiche; ciò nonostante, si aspettava di essere largamente ricompensato per la sua vile condotta. Egli si aspettava di essere chiamato davanti a tutto il Sinedrio per ascoltare il proprio elogio mentre gli conferivano degli onori appropriati quale compenso del grande servizio che si compiaceva di aver reso alla sua nazione. Immaginate quindi la grande sorpresa di questo traditore egoista quando un servo del sommo sacerdote, battendogli sulla spalla, lo chiamò fuori dalla sala e gli disse: “Giuda, sono stato incaricato di pagarti per il tradimento di Gesù. Ecco la tua ricompensa.” Così dicendo il servo di Caifa consegnò a Giuda una borsa contenente trenta pezzi d’argento — il prezzo corrente di un buon schiavo valido[3].
186:1.3 Giuda rimase stordito, muto di stupore. Egli si precipitò per rientrare nella sala, ma ne fu impedito dal guardiano della porta. Egli voleva appellarsi al Sinedrio, ma essi rifiutarono di riceverlo. Giuda non poteva credere che questi dirigenti degli Ebrei gli avessero permesso di tradire i suoi amici e il suo Maestro per offrirgli poi come ricompensa trenta pezzi d’argento. Egli era umiliato, disilluso e completamente distrutto. Si allontanò dal tempio, per così dire, in trance. Fece cadere come un automa la borsa del denaro nella sua tasca profonda, la stessa tasca in cui aveva portato così a lungo la borsa contenente i fondi apostolici. Ed errò per la città seguendo la folla che stava andando ad assistere alle crocifissioni.
186:1.4 Da lontano Giuda vide che rizzavano la croce su cui era inchiodato Gesù, e a questa vista egli ritornò precipitosamente al tempio, superò di forza il guardiano della porta e si trovò in presenza del Sinedrio, che era ancora in sessione[4]. Il traditore era quasi senza fiato e profondamente sconvolto, ma riuscì a balbettare queste parole: “Io ho peccato per aver tradito del sangue innocente. Voi mi avete insultato. Mi avete offerto come ricompensa per il mio servizio del denaro — il prezzo di uno schiavo. Io mi pento di avere fatto questo; ecco il vostro denaro. Voglio sottrarmi alla colpa di questo atto.”
186:1.5 Dopo che i dirigenti ebrei ebbero ascoltato Giuda, si fecero beffe di lui. Uno di loro seduto accanto a dove stava Giuda lo invitò a lasciare la sala e disse: “Il tuo Maestro è già stato messo a morte dai Romani, e quanto alla tua colpa, che cosa ce ne importa? Arrangiati — e vattene!”[5]
186:1.6 Lasciando la sala del Sinedrio, Giuda tolse i trenta pezzi d’argento dalla borsa e li gettò sul pavimento del tempio[6]. Quando il traditore lasciò il tempio era quasi fuori di sé. Giuda stava ora passando per l’esperienza della realizzazione della vera natura del peccato. L’attrattiva, il fascino e l’ebbrezza della cattiva azione erano tutti svaniti. Ora il malfattore era solo, faccia a faccia con il verdetto del giudizio della sua anima disincantata e delusa. Il peccato era stato ammaliante ed avventuroso nel commetterlo, ma ora egli doveva affrontare la messe dei fatti nudi e crudi e privi di romanticismo.
186:1.7 Questo, un tempo ambasciatore del regno dei cieli sulla terra, errava ora per le strade di Gerusalemme solo e abbandonato. La sua disperazione era enorme e quasi assoluta. Egli proseguì attraverso la città e uscì dalle mura, fino al terribile luogo solitario della valle di Hinnom, dove salì su delle rocce scoscese e, presa la cintura della sua veste, ne fissò un’estremità ad un piccolo albero, annodò l’altra attorno al suo collo, e si gettò nel precipizio. Prima che fosse morto, il nodo che avevano fatto le sue mani nervose si sciolse, e il corpo del traditore si sfracellò cadendo sulle sottostanti rocce appuntite[7].
186:2.1 Quando Gesù fu arrestato, sapeva che la sua opera sulla terra nelle sembianze della carne mortale era terminata. Egli comprendeva pienamente il genere di morte di cui sarebbe morto, e non si preoccupò affatto dei dettagli dei suoi cosiddetti giudizi.
186:2.2 Davanti al tribunale del Sinedrio, Gesù rifiutò di rispondere alle testimonianze di testimoni spergiuri[8]. Ci fu una sola domanda che provocò sempre una risposta, fosse essa posta da amici o da nemici, e fu quella concernente la natura e la divinità della sua missione sulla terra. Quando gli chiesero se era il Figlio di Dio, egli rispose immancabilmente[9]. Egli rifiutò fermamente di parlare in presenza del curioso ed iniquo Erode[10]. Davanti a Pilato parlò soltanto quando pensò che Pilato o qualche altra persona sincera potevano essere aiutati a conoscere meglio la verità da ciò che diceva. Gesù aveva insegnato ai suoi apostoli l’inutilità di gettare le loro perle ai porci, ed egli ora osava praticare ciò che aveva insegnato[11]. La sua condotta in questo momento esemplificava la paziente sottomissione della natura umana, unita al maestoso silenzio e alla solenne dignità della natura divina. Egli era del tutto disposto a discutere con Pilato qualsiasi questione concernente le accuse politiche portate contro di lui — qualsiasi questione che egli riconosceva come pertinente alla giurisdizione del governatore.
186:2.3 Gesù era convinto che fosse volontà del Padre che egli si sottomettesse al corso naturale e ordinario degli eventi umani, proprio come deve fare ogni altra creatura mortale, e perciò rifiutò d’impiegare anche i suoi poteri puramente umani di eloquenza persuasiva per influenzare l’esito delle macchinazioni dei suoi simili mortali socialmente miopi e spiritualmente ciechi. Sebbene Gesù sia vissuto e morto su Urantia, tutta la sua carriera umana, dall’inizio alla fine, fu uno spettacolo destinato ad influenzare e ad istruire l’intero universo che aveva creato ed incessantemente sostenuto.
186:2.4 Questi Ebrei miopi urlavano scompostamente per chiedere la morte del Maestro, mentre egli stava là in terribile silenzio osservando la scena della morte di una nazione — dello stesso popolo di suo padre terreno.
186:2.5 Gesù aveva acquisito quel tipo di carattere umano che può conservare la sua padronanza ed affermare la sua dignità di fronte ad insulti continuati e gratuiti. Egli non poteva essere intimidito. Quando fu assalito la prima volta dal servo di Anna, egli aveva soltanto suggerito l’opportunità di chiamare dei testimoni che potessero testimoniare debitamente contro di lui.
186:2.6 Dall’inizio alla fine del suo cosiddetto giudizio davanti a Pilato, le schiere celesti in osservazione non poterono trattenersi dal diffondere all’universo la descrizione della scena di “Pilato in giudizio davanti a Gesù”.
186:2.7 Davanti a Caifa, e dopo che ogni testimonianza spergiura era crollata, Gesù non esitò a rispondere alla domanda del sommo sacerdote, fornendo così con la sua stessa testimonianza ciò che essi desideravano come base per giudicarlo colpevole di bestemmia.
186:2.8 Il Maestro non manifestò mai il minimo interesse per gli sforzi ben intenzionati ma tiepidi di Pilato per giungere al suo rilascio. Egli aveva realmente pietà di Pilato e si sforzò sinceramente d’illuminare la sua mente ottenebrata. Egli rimase totalmente passivo a tutti gli appelli del governatore romano agli Ebrei perché ritirassero le loro accuse criminali contro di lui. Durante l’intera triste prova egli si comportò con una dignità semplice ed una maestà senza ostentazione. Egli non volle nemmeno fare delle insinuazioni sull’insincerità di coloro che volevano assassinarlo quando gli chiesero se era “re dei Giudei”. Con un minimo adeguato chiarimento egli accettò la designazione, sapendo che, avendo essi scelto di respingerlo, egli sarebbe stato l’ultimo ad offrire loro una reale guida nazionale, anche in senso spirituale.
186:2.9 Gesù parlò poco durante questi processi, ma disse abbastanza per mostrare a tutti i mortali il genere di carattere umano che l’uomo può perfezionare in associazione con Dio, e per rivelare a tutto l’universo il modo in cui Dio può divenire manifesto nella vita della creatura quando tale creatura sceglie veramente di fare la volontà del Padre, divenendo così un figlio attivo del Dio vivente.
186:2.10 Il suo amore per i mortali ignoranti è pienamente rivelato dalla sua pazienza e dalla sua grande padronanza di sé di fronte agli scherni, alle percosse e agli schiaffi dei rozzi soldati e dei servi sciocchi. Egli non si irritò nemmeno quando lo bendarono e, colpendolo con derisione in viso, esclamavano: “Profetizzaci chi ti ha colpito”[12].
186:2.11 Pilato era più vicino al vero di quanto pensasse quando, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo presentò alla folla esclamando: “Ecco l’uomo!” In verità, il governatore romano dominato dalla paura non immaginava affatto che proprio in quel momento l’universo fosse sul chi vive, contemplando questa scena unica del suo amato Sovrano assoggettato in modo così umiliante ai sarcasmi e alle percosse dei suoi sudditi mortali ottenebrati e degradati[13]. E mentre Pilato parlava, riecheggiò in tutto Nebadon: “Ecco Dio e l’uomo!” In tutto un universo, innumerevoli milioni di creature hanno da quel giorno sempre continuato a contemplare quell’uomo, mentre il Dio di Havona, il capo supremo dell’universo degli universi, accetta l’uomo di Nazaret come soddisfacimento dell’ideale delle creature mortali di questo universo locale del tempo e dello spazio. Nella sua vita incomparabile egli non mancò mai di rivelare Dio all’uomo. Ora, in questi episodi finali della sua carriera di mortale e nella sua morte successiva, egli fece una rivelazione nuova e commovente dell’uomo a Dio.
186:3.1 Poco dopo che Gesù era stato riconsegnato ai soldati romani a conclusione dell’udienza davanti a Pilato, un distaccamento delle guardie del tempio partì in fretta per Getsemani per disperdere o arrestare i discepoli del Maestro. Ma molto prima del loro arrivo questi discepoli si erano sparpagliati. Gli apostoli si erano ritirati in nascondigli prestabiliti; i Greci si erano separati ed erano andati in differenti case a Gerusalemme; gli altri discepoli erano pure spariti. Davide Zebedeo riteneva che i nemici di Gesù sarebbero tornati, cosicché trasferì subito cinque o sei tende più in alto nella forra, vicino al luogo in cui il Maestro si era ritirato così spesso a pregare e adorare. Egli si proponeva di nascondersi qui e di mantenere allo stesso tempo un centro, o stazione di coordinamento, per il suo servizio di messaggeri. Davide aveva appena lasciato il campo quando giunsero le guardie del tempio. Non trovando nessuno sul posto, essi si accontentarono d’incendiare il campo e di ritornare poi in fretta al tempio. Ascoltando il loro rapporto, il Sinedrio fu rassicurato che i discepoli di Gesù erano così completamente spaventati e soggiogati che non vi sarebbe stato alcun pericolo di sommossa o possibile tentativo di liberare Gesù dalle mani dei suoi carnefici. Essi potevano finalmente respirare tranquilli, e così si separarono, andando ciascuno per la propria strada a prepararsi per la Pasqua.
186:3.2 Appena Gesù fu riconsegnato ai soldati romani da Pilato per essere crocifisso, un messaggero partì in fretta per Getsemani per informare Davide, e nello spazio di cinque minuti dei corrieri erano in viaggio per Betsaida, Pella, Filadelfia, Sidone, Sichem, Hebron, Damasco e Alessandria. E questi messaggeri portavano la notizia che Gesù stava per essere crocifisso dai Romani su insistente richiesta dei dirigenti degli Ebrei.
186:3.3 Per tutta questa tragica giornata, fino a quando partì l’ultimo messaggio che il Maestro era stato deposto nella tomba, Davide inviò circa ogni mezz’ora dei messaggeri con rapporti per gli apostoli, i Greci e la famiglia terrena di Gesù, riunita a casa di Lazzaro a Betania. Quando i messaggeri partirono con la notizia che Gesù era stato sepolto, Davide congedò il suo corpo di corrieri locali per la celebrazione della Pasqua e il riposo del sabato successivo, ordinando loro di presentarsi in modo discreto a lui la domenica mattina a casa di Nicodemo, dove si proponeva di andare a nascondersi per alcuni giorni con Andrea e Simon Pietro.
186:3.4 Questo Davide Zebedeo dalla mente particolare fu il solo tra i principali discepoli di Gesù che fu incline ad avere una visione chiara e precisa dell’affermazione del Maestro che sarebbe morto e “risuscitato il terzo giorno”[14]. Davide l’aveva inteso una volta fare questa predizione, ed essendo di mente pratica, si proponeva ora di riunire i suoi messaggeri domenica mattina presto a casa di Nicodemo perché fossero pronti a diffondere la notizia nel caso Gesù fosse risuscitato dalla morte. Davide non tardò a scoprire che nessuno dei discepoli di Gesù si aspettava che tornasse così presto dalla tomba. Perciò egli parlò poco della sua credenza e non disse nulla sulla mobilitazione di tutto il suo gruppo di messaggeri per domenica mattina presto, salvo ai corrieri che erano stati mandati il venerdì mattina nelle città lontane e nei centri dei credenti.
186:3.5 E così questi discepoli di Gesù, sparsi in tutta Gerusalemme e nei suoi dintorni, quella notte condivisero la Pasqua e il giorno successivo rimasero nascosti.
186:4.1 Dopo che Pilato si fu lavato le mani davanti alla moltitudine, cercando così di sfuggire alla colpa di aver consegnato un innocente per essere crocifisso solo perché egli aveva paura di resistere al clamore dei dirigenti ebrei, ordinò che il Maestro fosse consegnato ai soldati romani e diede istruzioni al loro capitano che fosse crocifisso immediatamente[15][16]. Dopo aver preso in consegna Gesù, i soldati lo ricondussero nel cortile del pretorio, e dopo avergli levato la veste che Erode gli aveva messo, lo vestirono con le sue vesti. Questi soldati si burlarono di lui e lo derisero, ma non gli inflissero altre punizioni fisiche[17]. Gesù era ora solo con questi soldati romani. I suoi amici erano nascosti; i suoi nemici erano andati per la loro strada; anche Giovanni Zebedeo non era più al suo fianco.
186:4.2 Erano da poco passate le otto del mattino quando Pilato consegnò Gesù ai soldati, e poco meno delle nove quando essi partirono per la scena della crocifissione[18]. Durante questo periodo di più di mezz’ora Gesù non disse una parola. Gli affari amministrativi di un grande universo erano praticamente fermi. Gabriele e i principali dirigenti di Nebadon erano riuniti qui su Urantia, oppure erano in vigile attesa dei rapporti spaziali degli arcangeli per essere informati su ciò che stava accadendo al Figlio dell’Uomo su Urantia.
186:4.3 Al momento in cui i soldati furono pronti a partire con Gesù per il Golgota, avevano cominciato ad essere impressionati dalla sua eccezionale compostezza e dalla sua straordinaria dignità, dal suo rassegnato silenzio.
186:4.4 Gran parte del ritardo nel condurre Gesù al luogo della crocifissione fu dovuto ad una decisione del capitano, presa all’ultimo momento, di condurre anche due ladri che erano stati condannati a morte; poiché Gesù doveva essere crocifisso quella mattina, il capitano romano pensò che questi due potevano anch’essi morire con lui piuttosto che attendere la fine delle festività pasquali[19].
186:4.5 Appena i ladri poterono essere pronti, furono portati nel cortile, dove guardarono Gesù, uno di loro per la prima volta, ma l’altro l’aveva spesso sentito parlare sia nel tempio che molti mesi prima al campo di Pella.
186:5.1 Non c’è alcuna relazione diretta tra la morte di Gesù e la Pasqua ebraica. È vero, il Maestro sacrificò la sua vita nella carne in questo giorno, il giorno della preparazione alla Pasqua ebraica, e press’a poco nel momento in cui si sacrificavano gli agnelli pasquali nel tempio. Ma la coincidenza casuale di questi avvenimenti non indica in alcun modo che la morte del Figlio dell’Uomo sulla terra abbia una qualche connessione con il sistema sacrificale ebraico. Gesù era un Ebreo, ma come Figlio dell’Uomo era un mortale dei regni. Gli avvenimenti già narrati e sfocianti in quest’ora dell’imminente crocifissione del Maestro sono sufficienti ad indicare che la sua morte in questo periodo fu un evento puramente naturale e dovuto all’uomo.
186:5.2 Fu l’uomo e non Dio che progettò ed eseguì la morte di Gesù sulla croce. È vero, il Padre rifiutò d’interferire nello svolgersi degli eventi umani su Urantia, ma il Padre del Paradiso non decretò, né pretese o richiese la morte di suo Figlio quale avvenne sulla terra. È un fatto che in qualche modo, presto o tardi, Gesù avrebbe dovuto svestirsi del suo corpo mortale, della sua incarnazione nella carne, ma avrebbe potuto eseguire tale compito in innumerevoli modi senza morire su una croce tra due ladroni. Tutto ciò fu opera dell’uomo, non di Dio.
186:5.3 Al momento del suo battesimo il Maestro aveva già completato la tecnica dell’esperienza richiesta sulla terra e nella carne necessaria per completare il suo settimo ed ultimo conferimento nell’universo. In questo stesso momento il compito di Gesù sulla terra era terminato. Tutta la vita che egli visse poi, ed anche il modo in cui morì, furono un ministero puramente personale da parte sua per il benessere e l’elevazione delle sue creature mortali su questo mondo e su altri mondi.
186:5.4 Il vangelo della buona novella che l’uomo mortale può, per mezzo della fede, divenire spiritualmente cosciente di essere figlio di Dio, non dipende dalla morte di Gesù. È vero, tutto questo vangelo del regno è stato straordinariamente illuminato dalla morte del Maestro, ma lo è stato ancor più dalla sua vita[20].
186:5.5 Tutto ciò che il Figlio dell’Uomo disse o fece sulla terra abbellì grandemente le dottrine della filiazione con Dio e della fratellanza degli uomini, ma queste essenziali relazioni tra Dio e gli uomini sono insite nei fatti universali dell’amore di Dio per le sue creature e dell’innata misericordia dei Figli divini. Queste relazioni toccanti e divinamente belle tra l’uomo e il suo Creatore su questo mondo e su tutti gli altri mondi dell’intero universo degli universi sono esistite dall’eternità. Ed esse non dipendono in alcun senso dall’effettuazione di questi periodici conferimenti dei Figli Creatori di Dio, che assumono così la natura e le sembianze delle intelligenze create da loro come parte del prezzo che devono pagare per l’acquisizione definitiva della sovranità illimitata sui loro rispettivi universi locali.
186:5.6 Il Padre che è nei cieli amava l’uomo mortale della terra prima della vita e della morte di Gesù su Urantia, tanto quanto dopo questa manifestazione trascendente della co-associazione di uomo e Dio. Questa potente operazione dell’incarnazione del Dio di Nebadon come uomo su Urantia non poteva accrescere gli attributi del Padre eterno, infinito ed universale, ma arricchì ed illuminò tutti gli altri amministratori e creature dell’universo di Nebadon. Mentre il Padre che è nei cieli non ci ama maggiormente a causa di questo conferimento di Micael, tutte le altre intelligenze celesti lo fanno. E ciò in quanto Gesù non solo fece una rivelazione di Dio all’uomo, ma fece anche parimenti una nuova rivelazione dell’uomo a Dio e alle intelligenze celesti dell’universo degli universi.
186:5.7 Gesù non sta per morire a titolo di sacrificio per il peccato[21]. Non sta andando a fare ammenda della colpa morale innata della razza umana. L’umanità non ha una tale colpa razziale al cospetto di Dio. La colpa è una mera questione di peccato personale e di ribellione cosciente e deliberata contro la volontà del Padre e l’amministrazione dei suoi Figli.
186:5.8 Il peccato e la ribellione non hanno niente a che fare con il fondamentale piano di conferimento dei Figli Paradisiaci di Dio, sebbene sembri a noi che il piano di salvezza sia un aspetto diretto del piano di conferimento.
186:5.9 La salvezza di Dio per i mortali di Urantia sarebbe stata altrettanto efficace ed infallibilmente certa se Gesù non fosse stato messo a morte dalle crudeli mani di mortali ignoranti. Se il Maestro fosse stato accolto favorevolmente dai mortali della terra e fosse partito da Urantia per abbandono volontario della sua vita nella carne, il fatto dell’amore di Dio e della misericordia del Figlio — il fatto della filiazione con Dio — non sarebbe stato intaccato in alcun modo. Voi mortali siete i figli di Dio, e solo una cosa è richiesta per rendere fattuale tale verità nella vostra esperienza personale, ed è la vostra fede nata dallo spirito.
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